La sentenza n. 143 del 2024 della Corte Costituzionale
Premessa
La recente sentenza n. 143/2024 della Corte Costituzionale torna a pronunciarsi in materia di affermazione di genere delle persone transgender e non binarie. La Corte, con tale pronuncia, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale – in determinati casi – dell’art. 31, comma 4, del d.lgs. n. 150 del 2011, che appunto disponeva la necessarietà dell’autorizzazione giudiziale per gli interventi di chirurgia affermativa delle persone transgender e non binarie.
Ma cosa è stato detto nello specifico?
Il Contesto normativo
Fino ad oggi, l’art. 31, comma 4, del d.lgs. n. 150 del 2011, che emenda la nota legge 164/82, subordinava l’accesso agli interventi chirurgici di adeguamento dei caratteri sessuali a una preventiva autorizzazione del tribunale. Questa disposizione finiva comprensibilmente per creare un ostacolo significativo all’esercizio del diritto all’autodeterminazione, costringendo quindi la persona ad essere sottoposta ad uno specifico vaglio giurisdizionale. Nella prassi, l’autorizzazione veniva fornita contestualmente alla richiesta di mutamento anagrafico; non erano rari però i casi in cui tale contestualità non era stata richiesta e dunque la persona doveva comunque richiedere uno specifico accertamento di tale diritto.
La Decisione della Corte
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 143/2024, ha ritenuto questa disposizione irragionevole alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale in materia. In particolare, la Corte ha richiamato le sentenze n. 15138/2015 della Corte di Cassazione e n. 221/2015 della stessa Corte Costituzionale, che avevano escluso la necessità dell’intervento chirurgico come prerequisito per la rettificazione anagrafica di sesso.
La Corte ha sottolineato che, “potendo questo percorso compiersi già mediante trattamenti ormonali e sostegno psicologico-comportamentale“, l’obbligo di autorizzazione giudiziale per l’intervento chirurgico risultava “palesemente irragionevole“. Pertanto, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 31, comma 4, del d.lgs. n. 150 del 2011 “nella parte in cui prescrive l’autorizzazione del tribunale al trattamento medico-chirurgico anche qualora le modificazioni dei caratteri sessuali già intervenute siano ritenute dallo stesso tribunale sufficienti per l’accoglimento della domanda di rettificazione di attribuzione di sesso“.
Implicazioni della Sentenza
Questa sentenza rappresenta un importante passo avanti nella tutela dei diritti delle persone transgender. Eliminando l’obbligo di autorizzazione giudiziale, la Corte ha riconosciuto il diritto all’autodeterminazione terapeutica, consentendo di accedere agli interventi chirurgici di adeguamento dei caratteri sessuali senza la previa necessità di una specifica autorizzazione che, ad esempio, risulta del tutto automatica qualora si sia già ottenuta una sentenza di mutamento di genere ex l. 164/82.
Risulta invece ancora aperto il dibattito interpretativo su tutti quei casi che, non avendo neanche incardinato il procedimento di cui alla l. 164/82, desiderano comunque sottoporsi alla chirurgia affermativa.
Sul piano meramente autodeterminativo, sarebbe infatti palesemente auspicabile una interpretazione che rendesse non necessaria l’autorizzazione agli interventi anche nelle ipotesi in cui non vi sia stato alcun accesso giudiziale.
Il dibattito sul riconoscimento del genere non binario
La sentenza n. 143/2024 ha anche affrontato, il tema del riconoscimento giuridico del genere delle persone con identità non binaria. La Corte ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate in relazione all’art. 1 della legge n. 164 del 1982, che non prevede la possibilità di rettificare l’attribuzione di sesso in un genere diverso da quello maschile o femminile. Tuttavia, la Corte ha riconosciuto la rilevanza della questione, sottolineando che “la percezione dell’individuo di non appartenere né al sesso femminile, né a quello maschile […] genera una situazione di disagio significativa“.
La Corte ha quindi svolto un importante passo avanti, certificando e cristallizzando per la prima volta il riconoscimento giuridico dell’istanza delle persone non binarie, pur ammettendo la carenza legislativa, che il Parlamento sarà chiamato prima o poi a colmare.
Anche tale spunto rappresenta un indubbio passo avanti, dal momento che sancisce e nomina una identità che, sino ad oggi, non era mai stata abbracciata dalla giurisprudenza costituzionale.
Punti Chiave della Sentenza 143/2024:
- Eliminazione dell’obbligo di autorizzazione giudiziale: La Corte ha dichiarato illegittima la disposizione che subordinava l’accesso agli interventi chirurgici di adeguamento dei caratteri sessuali a una preventiva autorizzazione del tribunale, qualora le modificazioni dei caratteri sessuali già intervenute fossero sufficienti per la rettificazione dell’attribuzione di sesso.
- Riconoscimento del diritto all’autodeterminazione: La sentenza promuove il diritto all’autodeterminazione terapeutica delle persone transgender.
- Apertura al riconoscimento del genere non binario: La Corte ha riconosciuto la rilevanza della questione del riconoscimento giuridico del genere non binario, invitando il legislatore a intervenire per adeguare l’ordinamento italiano.