L’avvocata che si prende cura delle persone in transizione: “Mi batto per i loro diritti e per le carriere alias”

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Nell’agenda di Roberta Parigiani, 34 anni, i sabati, le domeniche e le canoniche ferie estive non sono contemplate: “E se qualcuna chiama?”, si preoccupa. Piuttosto ci sono i treni, quelli sì, per spostarsi su è giù per l’Italia e il cellulare sempre accesso per le emergenze di discriminazione. Avvocata civilista e legale allo sportello del MIT, da due anni a Bologna si prende cura dei diritti delle persone in transizione e dell’affettività queer, con la grazia di chi quel ‘mondo a ostacoli’ lo ha attraversato personalmente.La scoperta della propria identità negli anni 2000, “senza social – racconta – e in un momento storico in cui le persone esistevano, ma non ne erano ancora pubbliche le rivendicazioni”, poi il percorso sanitario all’ospedale Careggi. E ancora, l’iscrizione alla facoltà di Giurisprudenza e la ricerca di una comunità che le somigliasse: “Le prime trans a cui mi sono avvicinata? Le sex workers peruviane di Firenze, dove studiavo. Furono loro ad avvertirmi: tu hai uno strumento in più di noi, il diritto, usalo per difenderci e per rappresentarci”. Un monito raccolto alla lettera.Dopo la laurea, la pratica legale e la toga d’argento di cui è stata insignita per merito, Roberta ha fatto dei tomi studiati a menadito, del suo corpo e del suo titolo una questione interamente politica. “Il primo atto che ho redatto è stato quello di rettifica miei documenti, dopo sono seguiti quelli per gli altri”.Da allora infatti, con uno studio legale fisico e una postazione di consulenza presso il MIT (Movimento Identità Trans) di via Polese, difende identità e ‘crea’ spazi di personalità giuridica. Affianca ragazze e ragazzi, così come adulti nei procedimenti di cambio genere e – bando al peso di ogni distanza – viaggia da nord a sud pur di presenziare alla sentenze anagrafiche che sanciscono il loro nuovo nome: “Perché so quanto è importante per chi assisto”. Segue le tantissime richieste per l’introduzione delle carriere alias nelle università, mentre nelle aule di tribunale continua a combattere le discriminazioni transgender nel mondo del lavoro. Rappresenta le coppie omosessuali che lottano per il riconoscimento dei diritti genitoriali e le accompagna per preservali anche quando quelle unioni si sciolgono. E per moltissimi dei casi e delle pratiche elencate, non percepisce nessun compenso. “Ho fatto una scelta di vita, che ha un prezzo. Lavoro anche per chi quel procedimento non può permetterselo, perché so che è più importante affermare il suo diritto e fargli spazio nella società. Se ho rinunciato a qualche ambizione? Sì, forse con il diritto bancario, piuttosto che con altre discipline, avrei avuto un’altra carriera. Ma così mi sembra di stare dalla parte giusta della storia”. Al Pride di Bologna, hanno sfilato in corteo – al di là degli striscioni – anche i suoi genitori. “Non è stato facile, i rapporti con loro si erano sfilacciati, ma grazie a un lavoro quotidiano sono riuscita a condividere il messaggio che porto anche con chi mi era più vicino.”


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